Bella serata quella di ieri al Centro Sociale Anziani di Cetraro, dove si è tenuto un incontro dedicato a tutte le donne. In occasione della Festa della donna, infatti, il Centro ha organizzato un omaggio a “tutte le donne, soprattutto a quelle che non hanno voce” (così recitava la locandina). Vi è stata, dapprima, la distribuzione delle mimose a tutte le signore presenti, la proiezione di alcune scene del bellissimo film Persepolis di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud e la lettura di alcunni testi dedicati alle donne. Il tutto si è concluso con un buffet offerto dai membri. Ecco le foto delle serata e, a seguire, gli interventi di Carmen Antonuccio, Maria Castellani, Marietta Gallo e Rosa Randazzo.
L’intervento di Carmen Antonuccio
Nel corso della serata Carmen Antonuccio ha reso omaggio alle “donne resistenti”.
Ha letto la lettera che Reyhaneh Jabbari ha scritto alla madre, prima di essere impiccata.
Reyhaneh è una donna iraniana di 27 anni, impiccata nel suo paese all’alba di sabato 23 ottobre 2014 per aver ucciso l’uomo che aveva tentato di stuprarla. A nulla sono valsi gli appelli internazionali di Papa Francesco, di Amnesty International, del ministro degli Esteri Federica Mogherini e di tanti intellettuali iraniani per salvare la giovane donna dal suo destino. Cinque anni nel braccio della morte sono finiti con la forca.
E’ una lettera struggente e coinvolgente. Scritta in punto di morte, è un inno alla bellezza e alla vita.
Il primo giorno in cui alla stazione di polizia una vecchia agente zitella mi ha schiaffeggiato per le mie unghie, ho capito che la bellezza non viene ricercata in questa epoca. La bellezza dell’aspetto, dei pensieri e dei desideri, una bella scrittura, la bellezza degli occhi e della visione e persino la bellezza di una voce dolce.
Non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore divengano polvere.
Prega perché venga disposto che, non appena sarò stata impiccata, il mio cuore, i miei reni, i miei occhi, le mie ossa e qualunque altra cosa che possa essere trapiantata venga presa dal mio corpo e data a qualcuno che ne ha bisogno, come un dono.
Compratemi un mazzo di fiori oppure pregate per me.”
L’intervento di Maria Castellani
“ Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo”
Il film Persepolis, proiettato nella sala del Centro anziani di Cetraro centro l’8 marzo, ha portato gli spettatori presenti a riflettere sulla situazione femminile in Iran.
Non è diversa, però, la condizione socio-economica in tutto il Medioriente, addirittura simile al Pakistan.
Tutto ciò è stato evidenziato dal romanzo autobiografico Io sono Malala, che ho brevemente commentato nella stessa serata.
Questo libro è stato scritto da Cristina Lamb, importante corrispondente di guerra. La giornalista ha riportato ogni singola espressione di Malala, compresa la semplicità del linguaggio. Emerge dal romanzo una testimonianza molto importante e piacevole, sia per la situazione pakistana, che per il messaggio di pace e l’ impegno di questa piccola e coraggiosa pashtun.
“ Sedermi a scuola e leggere i libri è un diritto, vedere ogni essere umano sorridere è il mio desiderio “
Malala subisce l’attentato all’uscita da scuola; ha 15 anni, ma per i talebani è colpevole di aver gridato al mondo il suo desiderio di leggere e di studiare.
Visionando questo testo, ci rendiamo conto che siamo tra le pagine di storia di oggi, dove ci sono uomini che con un kalashinkov in mano sparano in testa ad una ragazza coraggiosa, perché fomenta l’amore per lo studio e la cultura; dove ci sono uomini che picchiano a sangue una donna perché cammina sola per la strada.
Atrocità lontane da chi ha avuto la fortuna di nascere in altri contesti sociali eppure presenti in molti luoghi della terra.
Malala Yousafzai è stata invitata all’ONU nel2013 per parlare di pace e scuola.
Nel 2014 le è stato conferito il premio Nobel per la pace. Ha creato la fondazione: “Il Malala found”che mira a raccogliere ed investire denaro in azioni che diano più potere alle comunità locali, diano a tutti, non solo l’alfabetizzazione di base, ma gli strumenti, le idee e le reti che possano aiutare le ragazze a far sentire la propria voce e a creare un domani migliore.
L’intervento di Marietta Gallo
Parlare di Shirin Ebadi, in occasione della festa della donna presso il Centro Sociale Anziani di Cetraro, è stato molto importante per me e, penso, anche per coloro che mi hanno ascoltata. Dico questo perché di donne, come la Ebadi ed altre ancora, poco si sa o forse niente.
L’iraniana Shirin Ebadi e’ l’undicesima donna a vincere il premio Nobel per la pace. La notizia ha suscitato molte sorprese, perche’ alla vigilia, da piu’parti, veniva dato per certo che il premio sarebbe stato assegnato a Giovanni Paolo II. Era il 10 ottobre 2003. Il presidente del comitato ha proclamato la vincitrice ad Oslo lodando il suo “coraggio “ e il suo impegno in favore della “democrazia ,” nonche’ la sua battaglia per i diritti delle donne e dei bambini. Shirin Ebadi, “sbalordita ,” alla notizia del prestigioso riconoscimento, ha dichiarato : “Questo premio va a tutti gli iraniani che si battono per la democrazia.” Poi da Parigi, in un incontro con la stampa, ha chiesto “ la liberazione al piu’ presto possibile “dei prigionieri iraniani che lottano per la democrazia e la libertà. “ La cosa piu’ urgente, “ ha proseguito, “ e’che la liberta’ d’espressione sia rispettata e che le persone in carcere per le loro opinioni siano immediatamente liberate”. Ha poi espresso ammirazione per Giovanni Paolo II dicendo: “ Ho sempre ammirato il Papa ancor piu’ perche’ ha condannato l’intervento americano in Iraq.” Il comitato norvegese per il Nobel e’ lieto di premiare “ una donna che e’ parte del mondo musulmano,” si legge nella motivazione del premio, che sottolinea come Ebadi non veda conflitto fra Islam e i diritti umani fondamentali. Per lei e’ importante che il dialogo fra culture e religioni differenti possa partire da valori condivisi. “Come avvocato, giudice, insegnante, scrittrice e attivista politica, la Ebadi ha sempre alzato la voce nel suo paese e ben oltre i suoi confini” prosegue il testo del comitato norvegese: “ non ha mai ceduto alle minacce , in un’era di violenza ha sostenuto la non violenza. Shirin Ebadi , nata nel 1947 e’ stata la prima donna nominata giudice prima della rivoluzione. Laureata in legge all’universita’di Teheran, e’ stata nominata presidente del tribunale dal 1975, ma dopo la rivoluzione del 1979 e’ stata costretta a dimettersi per le leggi che limitarono autonomia e diritti civili alle donne iraniane. Ha difeso le famiglie di alcuni scrittori e intellettuali uccisi tra il 1998 e il 1999. Nel 2000 ha partecipato ad una conferenza a Berlino sul processo di democratizzazione in Iran , organizzata da una fondazione vicina ai Verdi tedeschi, che provoco’ la reazione dei poteri conservatori a Teheran con l’arresto dei partecipanti tornati in Iran. Shirin Ebadi,perseguitata, fu sottoposta ad un processo segreto per aver prodotto e diffuso una video-cassetta sulla repressione studentesca del luglio 1999. La Ebadi e’ stata una dei primi giudici donna in Iran e la prima donna a diventare Presidente della Corte Suprema. Ha fatto molto ma ha anche pagato sulla propria pelle tutte le sue scelte. Nel 2009 ha lasciato l’Iran per un breve viaggio, alla vigilia della rielezione del Presidente Ahmadinejad. Da allora non e’ piu’ riuscita a rientrare.
L’intervento di Rosa Randazzo
L’8 marzo ci sentiamo a disagio nel dire che celebriamo la“Festa della donna”. Probabilmente perché ci sentiamo pienamente emancipate. La parola femminismo ci mette a disagio, quasi che non ci sia più bisogno di femminismo. Sappiamo che non è così. Non ricordo chi ha detto una frase-verità che mi è rimasta in mente : Possiamo dire che in un paese non ci sono differenze di genere quando una donna cretina occupa un posto importante, che tanti uomini cretini occupano, senza creare scandalo.
C’è ancora bisogno di femminismo in occidente e, con ragioni maggiori e più gravi, in alcuni paesi dove è lo stato stesso a creare discriminazioni, dove è la legge a stabilire che la donna è inferiore e che vale giuridicamente la metà dell’uomo. In questi paesi il femminismo può fare molto.
Questa sera quindi siamo qui, non per celebrare un rito, ma per riflettere e per esprimere solidarietà alle tante donne che soffrono per le discriminazioni di genere e spesso pagano con la vita la loro resistenza.
Il film di cui vedremo delle scene è intitolato Persepolis . E’un film animato scritto e diretto da Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud. Candidato all’Oscar nel 2007, ha vinto il premio della giuria al festival di Cannes nello stesso anno.
Oggi Marjane Satrapi vive e lavora in Francia, in esilio. Non può tornare nel suo paese perché ha osato raccontare la vita della sua famiglia, o meglio, come dice in una intervista, l’amore per la sua famiglia, nello svolgersi di momenti tragici della storia dell’Iran: dalla caduta della dittatura dello scià Reza Pahlavi alla cosiddetta rivoluzione islamica che ha instaurato la Repubblica islamica (1979) la cui costituzione si ispira alla legge coranica , la sharia.
E’ la storia di un cambiamento, è la storia di come i grandi cambiamenti politici cambiano la vita delle persone.
Uno sguardo critico, e per di più femminile , sulla maschilissima e maschilista rivoluzione islamica, che non è stato gradito dal governo iraniano tanto che, ancor prima del suo debutto al festival di Cannes, il Dipartimento cinematografico iraniano ha fatto recapitare all’Ambasciata francese a Teheran una lettera di protesta, prontamente respinta al mittente.
La scena iniziale è l’unica scena a colori di tutto il film.
Un giorno Marjane si sentiva così triste che è andata all’aeroporto con l’intenzione di partire. Ha passato tutto il giorno a piangere guardando gli aerei decollare. La scena “dà il senso della lontananza, della nostalgia, dell’esilio”. (V. Paronnaud) E’ un omaggio al paese che la ospita, la Francia. Il colore marca la differenza anche visiva con un passato grigio e soffocante.
Per il resto il film è in bianco e nero. L’assenza del colore, l’astrazione dell’ambientazione e degli sfondi , il disegno aderente alla realtà conferiscono al film un carattere di universalità. Aiutano gli spettatori “ ad avvicinarsi alla storia, che potrebbe essere ambientata in Cina, Israele, Cile o Corea, perché è una storia universale”( da una intervista alla scrittrice).
Il disegno è stato realizzato in maniera completamente tradizionale, senza immagini generate al computer.
Il film, come tutti i film di registi di paesi africani, asiatici, sudamericani, che noi indichiamo generalmente con nozioni astratte come extracomunitari, sottosviluppati o in via di sviluppo, fondamentalisti islamici e oggi sempre più spesso col termine “ terroristi”, ci aiuta a considerare gli Iraniani come persone che vivono, soffrono, ridono, si divertono, piangono come noi e come noi esprimono valori veri, universali. Danno della realtà un’immagine diversa da quella che vediamo in Tv o leggiamo sui giornali.
I temi del film sono tanti. Io ho scelto quelle scene che più riguardano le donne.
Il film ha avuto un grande successo. Nel 2003 una donna iraniana Shirin Ebadi ha ricevuto il premio Nobel per la pace. Alla domanda di un giornalista a Marjane Satrapi se il mondo spinge l’Iran verso il cambiamento, la scrittrice ha risposto:
“I grandi cambiamenti non sono mai il prodotto di una sola persona. Il cammino verso la democrazia è un lungo cammino. Una società è pronta per essere democratica il giorno in cui le donne e gli uomini che ne fanno parte saranno considerati uguali”.
Oggi in Iran il 70%degli studenti è formato da ragazze. “Un giorno queste donne che hanno studiato il doppio, lavoreranno, si emanciperanno e spingeranno la società verso il cambiamento. In modo naturale. La democrazia non si regala come un pacco né con le bombe.”