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Cetraro, le poesie natalizie e i canti danteschi

Last updated on 25 Febbraio 2017

Il tradizionale appuntamento dedicato alle poesie natalizie e ai canti del poeta fiorentino, organizzato dalla Pro Loco Civitas Citrarii, in collaborazione con la parrocchia San Pietro Apostolo, si è rinnovato anche quest’anno la sera del 28 dicembre 2016.

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Alla programmazione della manifestazione ha contribuito anche l’instancabile vice Presidente Giovanni Forestiero. A presentare l’evento la dott.ssa Alessandra Garozzo che, dopo i saluti del Presidente prof. Ciro Visca, ha introdotto la serata soffermandosi, in particolare, sul tema della Misericordia nell’opera dantesca.

Nell’ordine sono intervenuti: Maria Castellani – La novena di Gesù Bambino (Don Eugenio Occhiuzzi);  Marietta Gallo –  Il Natale (Alessandro Manzoni); Maria Gravino – La stella cometa (Boris Pasternack); Maria Teresa Spaccarotella e Maria Antonietta Grosso – Leggenda cetrarese (Francesco Cipolla). L’intervallo musicale è stato a cura di Vincenzo Tripicchio (mandolino), Benedetto Martilotta (chitarra), Franca Cristofaro (voce). Alfonso Gravino ha letto la Poesia in dialetto romanesco; Wilma Gallo, il Canto III del Paradiso (Dante Alighieri) e Don Luigi Gazzaneo: Conclusioni teologiche.

Le numerose poesie natalizie, recitate con enfasi espressiva durante la prima parte della serata, hanno da subito contribuito a immergere il pubblico in sala in un’atmosfera magica e ricca di spirito.

gesuIl Natale, descritto nei versi dei numerosi autori, rappresenta il grande mistero del bambino Gesù che, in una fredda notte di tanto tempo fa, scelse il luogo più umile e più semplice per venire al mondo.

Dopo un breve e tradizionale intervallo musicale, la prof. Wilma Gallo ha egregiamente illustrato, attraverso un ampio e ricco commento, il Canto III del Paradiso dantesco, dove ogni anima è beata per la sua massima capacità di beatitudine. Definito da alcuni critici il più bello fra tutti i canti della Commedia per via dei ritmi, delle armonie, della musicalità, della delicatezza e gentilezza, come delle stesse anime incontrate da Dante, il canto non presenta niente di casuale. Tutto è costruito, tutto è poetico. Un canto circolare che inizia con l’immagine di Beatrice e che con la stessa termina, mentre le anime nell’acqua si dissolvono.

Nelle sue conclusioni teologiche, Don Luigi Gazzaneo ha voluto sottolineare come la Divina Commedia non sia semplicemente bella quanto nasconda, in realtà, un fine pratico, quello della Conversione.

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Benedetto XV

In effetti Dante è da sempre preso in grande considerazione dalla Chiesa e i numerosi papi che si sono succeduti nel corso dei secoli lo hanno ricordato. Leone XIII, nel 1886, aveva istituito presso l’Istituto Leoniano dell’università dell’Apollinare, poi Lateranense, una cattedra dantesca. Benedetto XV, lo celebrò nell’enciclica “In praeclara summorum” nel centenario della morte, dove il poeta non solo veniva esaltato ma in qualche modo giustificato per le frequenti invettive nei confronti dei Papi e gli ecclesiastici di quel tempo, sottraendolo così a quell’alone di anticlericalismo che si andava diffondendo già nell’ottocento. Papa Paolo VI, invece, lo esaltò in occasione del VII centenario della sua nascita con la straordinaria lettera apostolica “Altissimi cantus”.

Giovanni Paolo II attinse alla Divina Commedia, così come Benedetto XVI lo ha ricordato e citato più volte nel corso del suo breve pontificato. Lo stesso Papa Francesco nella Lettera al Pontificio Consiglio della Cultura afferma:“Auspico vivamente che le celebrazioni in preparazione al VII centenario della morte di Dante nel 2021, possano far sì che la figura dell’Alighieri e la sua opera siano nuovamente comprese e valorizzate, anche per accompagnarci nel nostro percorso personale e comunitario. La Commedia può essere letta, infatti, come un grande itinerario, anzi come un vero pellegrinaggio, sia personale e interiore, sia comunitario, ecclesiale, sociale e storico. […] Dante è, dunque, profeta di speranza, annunciatore della possibilità del riscatto, della liberazione, del cambiamento profondo di ogni uomo e donna, di tutta l’umanità”.

Papa Francesco

Papa Francesco, che nello scorso anno ha straordinariamente indetto il Giubileo dedicato alla Misericordia, ha ribadito che la Chiesa non può e non deve chiudere la porta a nessuno. Non a caso, la prima porta Santa del Giubileo il Papa ha voluto che si aprisse in Africa, nella cattedrale di Bangui, il 29 novembre 2015. Segnale estremamente forte e significativo.

Secondo il Papa della Misericordia, Dante, nei suoi versi immortali, “ci invita ancora una volta a ritrovare il senso perduto o offuscato del nostro percorso umano e a sperare di rivedere l’orizzonte luminoso in cui brilla in pienezza la dignità della persona umana”. Del resto – osserva –  tutta la Commedia può essere letta come un grande itinerario, anzi come un vero pellegrinaggio, sia personale e interiore, sia comunitario, ecclesiale, sociale e storico”.

Nella Divina Commedia il ruolo della Misericordia è rilevatore dell’intento che muove Dante a costruire la sua opera ma non nell’Inferno, dove è totalmente assente. L’unica parola è la prima di Dante personaggio che, spaventato dalle tre fiere, chiede aiuto e grida a Virgilio “Miserere di me”, pietà di me (If I 65), esplicito riferimento al Salmo 50: “Miserère mei, Deus, secùndum magnam misericòrdiam tuam”, il salmo penitenziale per eccellenza, composto dal re Davide per chiedere perdono a Dio del suo peccato. In tutta la cantica non ci sono né misericordia né pietà e Virgilio spesso lo ricorda a Dante. Già nel canto III, di fronte agli Ignavi, quando il Poeta si sofferma a guardarli, Virgilio lo esorta a proseguire dicendo: “non ragionar di lor, misericordia e giustizia li sdegna” (If III 50).  Qui non può esserci spazio per la Misericordia.

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La struttura del Purgatorio di Dante

È il Purgatorio la cantica della Misericordia sulla quale si fonda la sua stessa dottrina legata alla storia del Giubileo. Già nell’Antipurgatorio le schiere di anime si avvicinano ai due pellegrini «cantando “Miserere” a verso a verso» (Pg V 24). La richiesta di Misericordia delle anime purganti è rivolta a Dio, ma in Purgatorio, in forza del Giubileo, le preghiere accorciano le pene e, quando quelle si accorgono che Dante è vivo, gli chiedono preghiere e raccontano le loro storie. In Purgatorio Dante è l’unico vivo che può pregare e invocare Misericordia e a lui le anime ne fanno richiesta per terminare la salita al monte. Di fronte la porta che introduce al monte, lo stesso Dante davanti all’angelo si getta ai suoi piedi dicendo misericordia chiesi e ch’el m’aprisse (Pg IX 111) affinché la porta si apra e inizi la salita. Tutto il Purgatorio è la grande cantica del perdono. Qui ogni tradimento è perdonato e abbracciato, basta che lo si voglia. Il Purgatorio altro non è che il lungo cammino che l’uomo deve compiere per ritrovare sé stesso.

Nel Paradiso, invece, non c’è Misericordia e neanche pietà. Le anime sono già redente. In tutta la cantica la parola “pietà” compare solo una volta ed è al centro di tre canti, dal III al V, che per l’ultima volta tornano sul tema non tanto del peccato, quanto della libertà dell’uomo. Nel primo Cielo della Luna sono presenti gli spiriti mancanti ai voti e sono descritte soprattutto due figure femminili, Piccarda Donati e Costanza d’Altavilla, quest’ultima non proferisce parola. Dante specifica come esse si siano sempre conservate fedeli nel loro cuore ai voti pronunciati “non fu dal vel del cor già mai disciolta“, (Pd III 117), e più avanti è Beatrice a trattare la questione di come la volontà dell’uomo molte volte compia qualcosa contro sé stessa per evitare un male peggiore. La Misericordia di Dio perdona e dona la vita eterna anche a coloro che, come Piccarda e Costanza, mancarono ai loro voti per mancanza di “salda voglia”, ma li mantennero nel “vel del cor”. L’ultima parola è la Misericordia di Dio, perché essa è “madre di beneficio”. Non a caso quando Dante vorrebbe domandare a Piccarda com’è possibile che sia in Paradiso e lei sembra non dare risposta, in realtà essa sta rispondendo: «Così parlommi, e poi cominciò “Ave, Maria” cantando, e cantando vanio» (Pd III 121-123).

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Dante con Beatrice incontra Piccarda e Costanza nel III Canto del Paradiso

L’Ave Maria cantata da Piccarda è una risposta implicita al perché della sua presenza in Paradiso: come Buonconte in Purgatorio, anche Piccarda deve la sua salvezza alla Misericordia di Dio che si è realizzata tramite la madre di beneficio, Maria. In Paradiso la pietà e la Misericordia non ci sono perché esse riguardano gli uomini che vivono, la Chiesa militante, e le anime del Purgatorio: ai santi non serve la Misericordia. Mentre in Purgatorio Dante è l’unico vivo che può pregare e invocare la Misericordia che le anime chiedono per terminare la salita del monte, in Paradiso le anime sono già redente ed è per lui, questa volta, che chiedono Misericordia affinché egli possa godere della visione di Dio.         

Dante si rapporta in maniera singolare con la Misericordia di Dio nel suo capolavoro. Come scrisse nella sua enciclica Paolo VI: “Il fine della Divina Commedia è anzitutto pratico ed è volto a trasformare e a convertire. Essa in realtà non si propone solo di essere poeticamente bella e moralmente buona, ma soprattutto di cambiare radicalmente l’uomo e di condurlo dal disordine alla sapienza, dal peccato alla santità, dalle sofferenze alla felicità, dalla considerazione terrificante dei luoghi infernali alle beatitudini del Paradiso”.

La Misericordia, come sostiene Papa Francesco, è la vera forza che può salvare il mondo dal peccato, dal male spirituale. Ognuno di noi è la pecora smarrita, il figlio ritornato a casa, ma Dio non dimentica, è come un padre che non ci abbandona mai. Nell’intervista che ha dato origine al libro Il nome di Dio è Misericordia, il Papa definisce quest’ultima come “l’atteggiamento divino che abbraccia, è il donarsi di Dio che accoglie, che si piega a perdonare. Nella Bolla d’indizione del Giubileo straordinario: Misericordiae Vultus al n: 3 si legge “Dinanzi alla gravità del peccato, Dio risponde con la pienezza del perdono. La Misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato, e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona”.

La Porta Santa si chiude al male che devasta il cuore dell’uomo, alle vendette che creano vittime, alle incoerenze che sbiadiscono la visibilità della fede. Ma a nessuno viene negata la grazia perché Cristo è la chiave che apre e nessuno può chiudere. La Porta Santa si chiude ma resta aperta quella della Misericordia.

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