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A cena con il Maestro Antonio Spaccarotella

Last updated on 29 Agosto 2021

Tra un impegno e l’altro, questo weekend, ho avuto la possibilità di fare quattro chiacchiere con Antonio Spaccarotella. O meglio, con il Maestro Antonio Spaccarotella, musicista, virtuoso e docente di fisarmonica. Una persona che, ve lo dico sin da ora, si è dimostrata umile e molto preparata.

AntonioSpaccarotellaPrima di conoscerlo, tuttavia – e qui devo essere sincero -, mi dava l’impressione di un tipo altezzoso, quasi spavaldo, con l’aria del superuomo già arrivato a traguardi importanti. Uno che si crede superiore agli altri, insomma. Beh, ho cambiato idea. Antonio, al di là della preparazione musicale (che c’è) e dei traguardi raggiunti, è soprattutto una persona pratica e saggia. Sì, avete letto bene: saggia. Di una saggezza che si potrebbe definire “acerba”, vista la sua età, ma che, in un ragazzo di ventinove anni, fa riflettere.

Ma procediamo per gradi…

Ci siamo incontrati in un noto ristorante di Cetraro. Io, lui e Denise Grosso. Non vi dico dove, ma solo che abbiamo cenato assieme. A base di pesce. Antonio si è presentato puntualissimo. Alle 21. Cosa che subito mi ha fatto pensare bene (odio i ritardatari!).

Ordiniamo da mangiare e, nel frattempo, accendo il registratore e comincio a fare qualche domanda al Maestro. Gli chiedo, per prima cosa, di parlarmi del suo ultimo tour in India. E lui, con estrema calma risponde che «è stata una grossa esperienza, forte. Ne ho vissute diverse in giro per il mondo – dice – ma questa dell’India è stata davvero particolare». Perché l’India? «È stata una mia scelta. Volevo cambiare un po’ e ho scelto l’India perché mi ha sempre affascinato. Così, per il nuovo World Tour, che ogni anno comincia sempre verso maggio, ho deciso di partire col botto: la fisarmonica in India!».

AntonioSpaccarotella“Col botto”, penso, e immaginando gli indiani che ascoltano divertiti la “tarantella”, decido di fare una battuta, anche per vedere se Antonio è davvero il tipo altero che sospetto: quindi hai portato le tarantelle in India…? Non se la prende. Anzi, ci ride su e replica: «Eh, sì. Ho fatto ballare gli indiani con le tarantelle di Cetraro… loro gradiscono molto lo stile italiano che, a parte gli scherzi, non è quello della musica tradizionale del sud, come la taranta o la pizzica o il saltarello abruzzese, ma quello della musica da ballo italiana: il valzer, il tango argentino e così via. Ahimè, io non faccio questo, ma comunque ho trovato una calorosissima accoglienza». E qual è il tuo stile, allora? «Io suono il “tango moderno”. Ecco, è questa la definizione. Il tango moderno. Certo, io ho una formazione che viene dal jazz, ma ho abbracciato questo stile perché mi suscita emozioni particolari. Emozioni che non saprei descrivere a parole, ma che, mi dice chi mi ascolta, so trasmettere con le note».

Mentre arrivano gli antipasti, continuo con le domande sull’India. Quante sono state le tappe del tuo tour? «Otto concerti in quattro posti differenti. Tra cui anche Calcutta. La migliore serata, comunque, è stata quella di Pune. Bellissima!». Un ricordo in particolare? «L’ansia. Che non era “ansia da pubblico”, intendiamoci. Ma una sensazione strana che ti viene quando ti affacci per un attimo da dietro la tenda del palcoscenico e, prima che inizi la serata, vedi un mare di sedie vuote. Lì, ti dici: ‘non riuscirò mai a riempirle tutte’. E invece, subito dopo esci di nuovo e vedi solo persone che ti fissano e che dagli occhi, capisci, vogliono solo divertirsi». Una vera e propria perla, penso tra me e me, potrei usarla in un romanzo quest’immagine. E bravo Antonio! Poi gli chiedo: Ora parliamo di te. Perché proprio la fisarmonica? «Sinceramente non lo so. Ho cominciato perché mi affascinava e non ho più smesso. Ho cominciato a suonarla in terza media. Oggi ho ventinove anni…».

Ho visto su Facebook delle foto. Eri con il Sindaco, l’assessore Quercia e i tuoi allievi. Come mai? «Beh, è stato un incontro voluto da ambedue le parti. Quest’amministrazione mi sta appoggiando. In tutto. E questo mi fa molto piacere. Io, dal canto mio, volevo rendere noto ai nostri amministratori del fatto che, a Cetraro, ci sono questi studenti che provengono da tutto il mondo per studiare la fisarmonica. Che si è creato un bellissimo movimento che va al di là dell’aspetto economico o politico. Una bella realtà, insomma, legata sempre alla tarantella (scherza, ndr)».

Quanti sono i tuoi allievi? «Beh, allora, considerando che ho tre attività avviate come docente, una in Conservatorio, una presso l’Accademia Musicale Nuove Armonie di Paola e una come docente privato… siamo attorno ai 50. Anche se non è un numero preciso. Dipende da molti fattori, come le lezioni, i corsi di perfezionamento e così via. Comunque, diciamo 50». Pro e contro di fare il fisarmonicista?, chiede Denise, che fino ad allora aveva ascoltato affascinata le parole del maestro. «Ti dico solo questo, Denise: la fisarmonica mi ha salvato. Il sogno di diventare un grande fisarmonicista mi ha salvato dalla strada. E non esagero!».

Verso le 21 e 30 il cameriere ci serve il primo e io decido che è giunto il momento di passare alle domande meno amate, ma necessarie in un’intervista. Passione o soldi? Antonio non si scompone e risponde con aria sincera: «Purtroppo non si vive di sola musica. Ma la passione è importantissima. E forte. Altrimenti non sarei qui oggi a parlare con te. Certo, i soldi, anche se è brutta la parola “soldi”, sono fondamentali. Arriva prima la passione, ma poi si ha bisogno dei soldi per andare avanti e continuare a coltivare la passione (seconda perla, ndr). C’è per esempio una fase in cui sei costretto ad investire, e quella fase non si può fare se non ci sono i soldi. E poi ci sono gli affetti. È sempre un “investimento” quello di lasciare la famiglia, la ragazza e partire per un mese in Brasile…». È una privazione affettiva, lo interrompo. «Sì – continua – non ti nego che in passato sono stato lasciato da qualche ragazza perché non le dedicavo la giusta attenzione. Ma così va la vita!».

Torniamo sul tour. Sono previste altre tappe? «Sì, Giappone, Stati Uniti, Brasile e Cina». Quando? «Da giugno a settembre. Poi, in mezzo c’è l’Olanda. Ah, suonerò anche al Festival dei due mondi di Spoleto». Ora parliamo del futuro. Come ti vedi fra 15 anni? «Esaurito! Il mio progetto è a 40 anni in pensione!». Scherza ancora. Progetti imminenti, sogni nel cassetto? «Io sogno ogni giorno. Non penso a lungo. Tra uno o due anni, ma a breve. Ad esempio, settimanalmente. I miei, sono sogni a breve termine».

Cerco ancora di metterlo in difficoltà e gli chiedo: qualche aggettivo che ti descrive? «Dammelo tu, un aggettivo». Risposta furba. Ma sto al gioco. Per me sei “pratico”. «Si, è vero». Ma anche “ambizioso”? «Sì, sì. Anche questo. Mi hai inquadrato bene! (ride, ndr). Sono ambiziosissimo. Anche perché se non vedi quello che cerchi, come puoi raggiungerlo?». Una terza perla, anche se questa ho il dubbio che l’abbia presa da qualche film o da qualche libro…

Alle 22 e 30, di comune accordo decidiamo che l’intervista (e la cena) è terminata. Meglio finire la serata con un buon caffè e andare a nanna. E invece no. A fine pasto, arriva il colpo di scena. Antonio riceve una telefonata ed esce un attimo dal locale. Torna subito dopo accompagnato da un amico e dalla sua attuale ragazza che, per il fine settimana, ha voluto fargli una sorpresa: è tornata da Roma per passare qualche ora con lui. Così, decidiamo di non concludere la serata al ristorante, ma “in amicizia”. Già, perché a quel punto mi sentivo più amico di Antonio, che intervistatore. E optiamo per una birra in un altro locale. Ma questo non ve lo racconto… in fondo, è un’altra storia. L’intervista al talentuoso artista cetrarese l’avete appena letta. E questo, per ora, basta.

A presto.

AntonioSpaccarotella2

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