Il nostro concittadino Lido Picarelli, giornalista e scrittore di numerosi ed interessanti saggi, da due anni, sostenuto da un Comitato Promotore, nonché confortato dall’Amministrazione Comunale di Cetraro e dalla Pro Loco, sta pubblicando una collana di Quaderni Cetraresi da lui ideata e coordinata. Sicuramente, la sua iniziativa riceve l’impulso da un grande amore per il paese che ha avuto modo di manifestare nelle bellissime pagine dei suoi racconti (Calzoni Corti, 2001; Cetrapoli, 2002), veri memoriali o meglio libri di ricordi della sua infanzia e della sua gioventù.

La sua prosa moderna, piana, con gli ornamenti strettamente necessari, da provetto giornalista, da uomo di buon gusto, ha contribuito, per Cetraro, all’affermazione e diffusione di un vecchio genere letterario, la memorialistica, che attualmente affascina non pochi scrittori cetraresi.

Arco-della-Porta-di-Mare
Arco della Porta di Mare

Lo scrittore Picarelli, un artista rappresentativo dello spirito laico, ha impresso una spinta forte alla letteratura cetrarese perché, a mio avviso, ha saputo raggiungere una buona comunicazione con il lettore e ciò, oltre che per i contenuti, per la scelta di un linguaggio dignitoso.

L’iniziativa, in atto, del giornalista, un libero pensatore, è lodevole perché mira a far conoscere la storia del nostro paese ai nostri concittadini in una forma più accessibile, più fruibile, in un lessico non aulico e per ottenere ottimi risultati non ha lesinato, ai vari autori, consigli, suggerimenti.

Lido, repulsivo a ogni forma di condizionamento politico e religioso, porta avanti la fatica della pubblicazione dei quaderni per compiacere all’animo suo e non per fini di celebrità o di guadagno. Infatti, sinceramente e onestamente, dichiara  che la sua iniziativa “non ha fini di lucro”.

I Quaderni finora pubblicati sono undici di cui cito:

N. 2  1910: nasce il Borgo S. Marco a cura di L. Picarelli;
N. 3  La festa del Monte Serra di T. Occhiuzzi;
N. 4  1943: la guerra in casa nostra  a cura di L. Picarelli;
N. 6  Il porto di A. Garozzo;
N. 8  Itinerari del Centro Storico di Stefano Iozzi;
N. 9  Le Bande musicali di A. E. Leporini;
N. 10  La donazione di Sikelgaita di L Iozzi;

So, per averlo appreso indirettamente, che il secondo quaderno ha suscitato vive discussioni (Palazzi e vie di Cetraro, vedi Cetraro in rete, luglio 2012), che, a mio parere, potevano essere evitate: bastava tenere conto dello spirito dei tempi e del fatto che il terreno, attualmente dei Lucibello, fino all’inizio degli Anni Venti  apparteneva alla famiglia Santelli. L’autore del libretto, nelle sue considerazioni sulla questione reale della viabilità del Borgo, non ha tenuto presente il concetto crociano “che alla storia spetti non giudicare” (condannare) ma spiegare” e  il chiarissimo prof. Mario Braile, “familiare acquisito… dei Lucibello”, nella sua comprensibile contestazione o meglio confutazione, non ha, a sua volta, documentato la genesi dei fatti.

Al di là del saggio sul porto di Alessandra Garozzo e di quello di mio figlio, non conosco il contenuto dei libretti, tuttavia ritengo che tutti gli scrittori, compreso il coordinatore, meritino onori e considerazioni da parte dei Cetraresi.

Mi preme soffermarmi sul Quaderno n. 8, di mio figlio, per precisare che ad esso, dal coordinatore Lido Picarelli, in perfetta buona fede, sono state fatte delle piccole significate aggiunte o apportate delle lievi modifiche, su cui non avrei avuto nulla da osservare se l’illustre amico avesse precisato che tali aggiunte e modifiche sono opera sua. Parimenti, sono opera sua la suddivisione del quaderno in quattro itinerari (da cui la prima parte del titolo) e il corredo di preziose foto. Poiché egli, sulla copertina, scrive che “Gli Autori dei singoli Quaderni si assumono la responsabilità di quanto in essi è contenuto”, è mio dovere precisare che nel testo originale, scritto da mio figlio e poi da me fornito all’amico Lido, non si parla del largo Giannino Losardo, né della sua morte, né di Albenzio Rossi, né del 1583 come anno di fondazione di un ospedale.

Chiesa dell'Annunziata e il Calvario
Chiesa dell’Annunziata e il Calvario

Le aggiunte rendono più completo e più organico il testo, arricchendolo di particolari, che, a un esame attento, si rivelano, talvolta, storicamente non esatti e quindi discordanti con le fonti. L’ospedale dell’Annunziata fu eretto, nella prima metà del Quattrocento, dal cetrarese Antonio de Andriotta e, nel 1585, Albenzio de’ Rossi fondò la chiesetta della Trinità con l’annesso ospizio.

Va rilevato che dette aggiunte si discostano dalla ricerca effettuata da mio figlio, il quale, avendo, tra l’altro, pubblicato il saggio sul giornalino della Pro Loco e su Calabria letteraria (luglio-dicembre 2011), era già soddisfatto e da uomo riservato e schivo voleva rimanere estraneo alle dispute storiografiche. Mi sento responsabile di aver sollecitato la sua adesione all’iniziativa culturale. Ora, egli si riconosce solo parzialmente in quel libretto.

Anche al mio quaderno, riguardante la donazione di Sikelgaita, è stata fatta una aggiunta nella quale si dice che il monastero di S. Maria di Camigliano si trovava nel casertano. In verità, detto monastero era presso Tarsia.

La mia famiglia sa che la ricerca storica, al prezzo di momentanee ed effimere gioie, mi ha procurato fatiche, dispiaceri ed amarezze. Gli ultimi attacchi sono venuti da persone legate tra loro: “Stella Cometa”, “Uno a caso” e una  certa Pepe. Si è voluto vedere persino una insidiosa patologica malizia nel mio innocente invito di recarsi a casa mia, per fornire le prove, a chi si rifiutava di ammettere che ci sono debitori di prestiti verso le mie ricerche effettuate nell’archivio di Montecassino. Difendere i miei scritti è un sacrosanto diritto.

La Cetraro sana e onesta sa che il sottoscritto, ora quasi ottuagenario, quando aveva vent’anni, tra gli elogi generali, ha candidamente impartito lezioni di matematica a tante belle e giovani ragazze, alcune delle quali, da tempo, con mio grande dolore, sono  nel regno dei giusti.

Preciso che, il 4 dicembre 2011, ho disdetto la mia collaborazione a un lavoro collettaneo, su Chiese e Possedimenti benedettini in Calabria, perché il coordinatore, di Vibo Valentia, voleva apportare ai miei testi delle lievi modifiche. Quel lavoro storico ha di recente visto la luce ed io sono stato egregiamente rimpiazzato da don Ermanno Raimondo e da altri. Tutti siamo utili e nessuno è indispensabile.

Lido, dotato di grande intelligenza, ha compreso il mio disagio e sicuramente assieme troveremo una soluzione per emendare i piccoli errori, vere quisquilie, che, pur non inficiando la validità del lavoro, costituiscono, per i perfezionisti e gli specialisti, dei nei non piacevoli. Nessuna disputa, solo doverose precisazioni. Lido, giustamente, chiama la vasca “gibbiuni”; io, nel mio vernacolo più arcaico,  dico: “cibbiunu”.

La collaborazione con l’amico Picarelli, nel complesso, è stata proficua, tuttavia considerato che sono inevitabili piccoli ostacoli, io e mio figlio riteniamo necessario riflettere su una esperienza di cui non avevamo previsto gli inconvenienti ascrivibili solo alla natura dei lavori e alla logistica. Intatta rimane la nostra riconoscenza verso una persona liberale e magnanima. Lido mi ha fatto omaggio dei suoi ultimi racconti. Va ricordata un’altra iniziativa letteraria del Picarelli che lo vede autore di brevi racconti, “tra vero e verosimile”, nei quali emerge la sua invenzione, la sua creatività.

Fontana della Porta di Mare
Fontana della Porta di Mare

I racconti finora elaborati sono cinque e alcuni di essi sono strutturati in due parti, una premessa storica e lo svolgimento vero e proprio del racconto, frutto, come ho detto, della sua inventiva: Donna Giulia, Donna Bruna, ‘Nginaglia, Sikelgaita, Duibotti.

I meriti di Lido e di altri contemporanei illustri concittadini, verso la cultura cetrarese, non sono piccoli e si deve aggiungere che, grazie a loro, Cetraro è diventata un’attiva fucina, un vero laboratorio d’arte da cui escono prodotti che hanno il sapore della più genuina cetraresità, né poteva essere diversamente per dei rampolli di antiche famiglie del nostro paese. Nessun rapporto fra i vai scrittori e soprattutto nessuna affinità ideologica.

Altri uomini insigni e profondi, pervasi da inesausto affetto per il paese, come i professori Luigi Leporini, Ciro Cosenza, Giuseppe Forestiero, il giornalista Pasquale Guaglianone e il dottor Alfonso Gravino, con grande impegno  e passione, da tanto tempo, lavorano autonomamente nei campi della narrativa e della ricerca e tutti, a Cetraro, conoscono la loro vocazione  e il valore artistico delle loro opere.

Oggi, tra i maggiori esponente della cultura e della tradizione cetrarese, va annoverato il prof. Leporini che si distingue per gli intendimenti morali ed educativi. I suoi delicati versi in vernacolo e i suoi brevi racconti creano forti emozioni, commuovono. Straordinario è il valore espressivo della sua scrittura che raggiunge livelli linguistici, lessicali, grammaticali e sintattici insuperabili.

Del Forestiero, ricordo tre racconti giovanili, Fulvia (1978), Perché fuggo? (1980) e Nostos (1985), mentre del Cosenza segnalo due opere: Ricordi di un figlio della Lupa (1983) e Cetraro nel XX secolo (2003). Nei “Ricordi” è straordinaria la vivezza con cui ritrae la figura di mio padre, ossia di Ciro. Ognuno degli scrittori citati opera autonomamente e li lega solo l’amore verso la stessa terra. Tra i letterati non più tra noi, ricordo i memorialisti Ercole Pasquale Giordanelli e Leopoldo Iannelli e la poetessa Graziella Maritato.

Nei miei libri, seguendo l’insegnamento del Croce, ho cercato di ispirare o inculcare l’amore per il nostro paese e pertanto desidero terminare questo articolo con una chiusa morale e sentimentale: cetraresi, devono animarci il sentimento della verità e l’amore per il paese.

Giorni fa, su “Cetraro in rete”, mi ha colpito la frase di un certo Francesco, un ragazzo di grande nobiltà d’animo, che dichiarava: “vorrei, nel mio piccolo, fare del mio paese un posto migliore”. Da parte mia, amo il paese e la sua gente e il mio amore l’ho trasmesso ai miei figli, i quali hanno pianto quando, a causa di diversi problemi, volevo vendere la vecchia casa dei miei genitori. Io non faccio parte di quei politici o di quei giornalisti che vengono a Cetraro una volta all’anno per ritirare premi e, talvolta, per soffiare sul fuoco delle discordie.

Informo i lettori che anche io sono autore di diversi quaderni, di cui cito:

NN. 1 e 2 Fella: Possedimento di Montecassino (2004-5);
N. 3 Dialetto: Cenni storici e Settimana Santa (2007);
N. 4 Commercianti e marinai della costa amalfitana (2011);
N. 5 Cetraro: Centro storico di Stefano Iozzi  (1912).

La tempestività del discorso mi ha costretto a soprassedere alla promessa fatta al sig. Allibito di non scrivere per qualche mese.