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Ospedale di Cetraro: memorie di un “incatenato”

Last updated on 29 Agosto 2021

[Riceviamo e pubblichiamo un contributo inviato dall’utente Agostino Vattimo sulla vicenda dell’ospedale di Cetraro, ndr].

Ospedale di Cetraro“Non ricordo più chi diceva che quando gli italiani sono sotto l’ombrellone si consumano le peggiori nefandezze. Ma a pensarci bene fu nella torrida estate del 2008 che si consumò lo “scippo di Ortopedia”, primo decisivo passo verso lo smantellamento totale del Presidio Ospedaliero di Cetraro, a quel tempo beffardamente indicato come Ospedale di riferimento del Tirreno cosentino nel Piano sanitario regionale redatto dall’Assessore Doris Lo Moro, che non vide mai l’approvazione.

Un’altra torrida estate vede nascere l’ennesimo provvedimento-monstre per il nostro ospedale, per la difesa del quale sette anni fa, alle ore 9:00 del 31 luglio 2008, sette persone del neocostituio Comitato civico “Nino De Caro” vi si incatenarono davanti per tre giorni e due notti, al fine di smuovere le coscienze di cittadini ed Istituzioni.

Sono passati sette anni, si sono succeduti diversi Governi Regionali, maggioranze politiche, Direttori Generali, Commissari straordinari e Commissari ad acta, mentre il disegno che ha decretato la morte lenta e dolorosa di questo presidio ospedaliero è rimasta l’unica costante.

Ieri il “nemico” si chiamava Petramala, oggi si chiama Filippelli, ma la verità vera è che sul palcoscenico di questo teatro dell’assurdo si muovono personaggi diversi, talvolta entrano ed escono di scena in tempi diversi gli stessi attori, ma l’obiettivo da colpire resta in ogni epoca e per tutti il medesimo: l’Ospedale di Cetraro, caduto in un velenoso gioco di poteri ed interessi contrastanti, un groviglio inestricabile di forze oscure.

Oggi come ieri l’Ospedale di Cetraro subisce altre amputazioni: ieri Ortopedia, oggi Chirurgia, domani chissà… sembra di assistere alle sevizie di un aguzzino, che taglia via un pezzo alla volta la carne viva dell’inerme vittima.

Non c’è stato niente da fare, non è servito nessuno dei tentativi fatti: non il gesto dimostrativo degli “incatenati”, non i servizi televisivi anche a carattere nazionale (addirittura l’indignato speciale di Andrea Pamparana), non le mobilitazioni popolari succedutesi negli anni, non i Consigli Comunali, non gli appelli di esponenti politici di vario calibro e cittadini, non le promesse di politici ed amministratori ai vari livelli, non gli esposti alla Procura della Repubblica, non le cause vinte davanti alla Magistratura amministrativa, non le istanze al Prefetto di Cosenza per l’esecuzione delle sentenze favorevoli. Non c’è stato riparo, come suol dirsi: l’unico malato grave che non siamo riusciti a rianimare è stato proprio il nostro ospedale!

Le delibere di ieri e di oggi sono piene di contraddizioni, figlie delle trame segrete cui sono sottese e di cui è palese solo l’esito nefasto. Vi si fa un gran parlare di riorganizzazione, razionalizzazione, efficienza ed efficacia, tutti paroloni dietro cui si celano in realtà incomprensibili tagli e spostamenti e soppressioni e accorpamenti, cui fanno incredibilmente da contraltare stabilizzazioni, assunzioni e promozioni, senza neppure l’ombra di alcun serio principio razionalizzatore e di buona amministrazione.

Non è l’interesse generale alla tutela del diritto alla salute che ispira questi provvedimenti, bensì diversi interessi particolari. Il risultato è che invece di comporre in un quadro organico l’offerta sanitaria sul territorio, ciascuno ne reclama un pezzo, e al diavolo se in questa maniera non si fa il bene di tutti ed anzi si mette a repentaglio la salute di ciascuno: l’importante è che i vari appetiti vengano in tutto o in parte soddisfatti. La sanità in Calabria ne esce dilaniata, come un pezzo di carne buttato in mezzo ad un branco di famelici pitbull.

Davanti a questa perpetua farsa di commedianti furbi, interessati e in malafede che cosa si può fare? La risposta sembra essere purtroppo quella dell’On. Cetto Laqualunque, sublime maschera contemporanea del più bieco e grottesco cinismo affaristico italico: na beata m…!

Spero di sbagliarmi, perché ho creduto e, in fondo, credo ancora che sia un peccato mortale assistere impotenti alla devastazione di un bene prezioso come l’ospedale e che sia un dovere difenderlo e migliorarlo.

Intanto, continuo a rimuginare, ma no… niente… non mi viene proprio in mente chi l’ha detta quella frase… ma, anche alla luce di questa ennesima pessima deliberazione estiva, credo che avesse proprio ragione quel tale nel dire che le peggiori nefandezze si consumano quando stiamo sotto l’ombrellone.

Agostino Vattimo, 23 luglio 2015″.

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