Questa terra riarsa, bisognosa d’amore e di colore, la ginestra l’ adorna dai monti fino al mare.
”U spartu” ( dal greco spàrton ,ginestra) esplode in quel suo bagliore che acceca. I suoi fiori belli ,semplici, umili, odorosi ,schierati sui cespi come soldati in missione di pace. I suoi rami sono quelli che un tempo venivano raccolti, lavorati, filati (in ogni casa vi era un telaio ) ed utilizzati per farne tessuti. Da quelli più raffinati nascevano i corredi( pregevolezze che ancora oggi qualcuno può ammirare) per le giovani spose; dagli altri più grezzi, coperte , tovaglie, scialli ,tappeti . Da quei rami si ricavavano anche bisacce e cesti, “cannisri” e “cùofani”. Terra arida si, ma mani operose. Mani che raccoglievano, che tessevano, che lavoravano ,che creavano.
I doni spontanei di una terra calda offerti a gente povera che sapeva trasformarli con arte antica. Quei doni erano pure, legati a riti, simboli e miti . “U spartu” diventava il simbolo del Corpus Domini ed il culto popolare si univa, come sempre, ai temi religiosi.
Infatti, un momento di grande devozione e preghiera per il popolo , era la ricorrenza del Corpus Domini, un evento solenne in cui tutta la comunità esprimeva lo spessore e la ricchezza delle sue tradizioni. Un manto di fiori profumati , in cui predominavano i hjuri i spartu ,copriva ogni angolo del paese. Davanti alle porte, in ogni “cantunera i via”, negli slarghi e nelle piazzole, erano altarini che gareggiavano tra loro in bellezza e sontuosità.
In chiesa era fermento sin dal mattino. I bambini, i ragazzi e le ragazze avevano il compito di andare a raccogliere i fiori di campo e giungevano con cesti colmi di fiori rossi di sulla e di papavero e fiori azzurri di lupino selvatico, e fiori bianchi di camomilla ma, soprattutto di hjiuri ‘i spartu ; ne riempivamo grossi cestini e li portavamo in chiesa affidandoli alle mani delle suore. Elle ne facevano un morbido e vivace tappeto lungo tutta la navata centrale e con gli altri fiori di lupino, di sulla e camomilla disegnavano nei cerchi gialli di ginestra, figure sacre ( calici e colombe).
Poi, già dal primo pomeriggio arrivavano in chiesa le bambine che dovevano indossare gli abiti da angioletto. Si trattava di lunghe tuniche bianche, rosa o celesti, con le maniche lunghe che terminavano svasate ai polsi. Erano, come sempre, le suore di Maria Ausiliatrice ad aiutare nella vestizione., Suor Maria Ermelinda, Suor Maria Antonietta, suor Immacolata.
Ad acconciare i capelli degli angioletti pensavano le mamme “ccu hjuri e zagarelli” , fiori e nastri .
E poi c’erano le ali… le agognate ali perché esse ci facevano somigliare agli angeli.
Erano fatte di legno compensato ed erano dipinte con gli stessi colori delle tuniche e su alcune vi erano disegnati dei fiori oppure, qua e là ,delle piume.
Venivano assicurate alle spalle delle ragazzine con una specie di bretelle.
Il problema era che pesavano un po’ ma, era tanta la voglia ed il piacere di “fare l’angioletto” che, valeva la pena soffrire per un po’.
La processione si teneva nel pomeriggio. Era aperta dai bambini che avevano da poco ricevuto il sacramento della prima comunione. Procedevano in fila per due ed ogni tanto, affondando una mano nel cestino che tenevano al braccio, spargevano in terra petali di rose e fiori di ginestra per preparare il percorso al passaggio della processione eucaristica.
Dietro le bandiere e gli stendardi di ogni parrocchia sfilavano i gruppi delle parrocchiane sempre in fila per due, tutte con veletta bianca in testa. Venivano poi i chierichetti con aria infastidita ed il turibolo fumigante e Don Sebastiano ,il parroco della chiesa madre, rivestito del piviale, con il velo omerale e con in mano l’ostensorio con il Santissimo Sacramento. Sotto il baldacchino, portato da quattro uomini( ricordo tra questi Totonno Policicchio), don Sebastiano procedeva affiancato da don Enrico e dai sacerdoti delle altre parrocchie, quelle di San Nicola ( don Gerardo) e di San Pietro Apostolo ( don Francesco Vivona) .
Il baldacchino era circondato proprio dalle bambine vestite da angioletto che camminavano con le mani giunte . Dietro chiudevano gli uomini e le donne del popolo.
E la processione sfilava in ordine tra canti e inni e nei brevi momenti di silenzio si sentiva lo scalpiccio dei passi di quell’esercito di pace, a cui ogni tanto cumpà Fonzu Leporini faceva segno, sbracciandosi, di aumentare l’ andatura o di rallentarla.
Il percorso era caratterizzato dagli altarini belli e sfarzosi nei colori dei drappi e dei fiori in cui eccelleva il giallo de “i hjùri i spartu,” e spuntavano decisi, il blu del lupino ed il rosso della sulla.
Giravi l’angolo e ti sorprendevano arabeschi disegnati sui selciati delle vie , tra i sipari di biancheria in prossimità degli altarini tappezzati di drappi raffinati.
Ne trovavi uno in Via mercato sotto la casa della signora Leonora, un altro mìenzu a Porta i Vasciu, poi allu Carciri,alla Cruci , in piazza, allu Carivaniu, alla srata alla chjisiella da Madonna i Pompei e altri a sorpresa. Giravi l’angolo e ti stupiva la vista di un altarino circondato da tele di tessuti pregiati e coperte dagli incantevoli ricami ed il piccolo altare con sopra candele e lucerne.
Le donne che lo avevano realizzato stavano lì con la coroncina del rosario in mano ad attendere.
“ Ngrazia allu patri allu figliu e allu spirutu sandu”,dicevano,
cumi nprincipiu e ppè tutta l’eternità”
E poi cantavano :” Tandu mergu sacramendu …”
storpiando un po’ il latinorum …ma tanto! pochi se ne accorgevano ed emozionavano lo stesso.
Mentre la processione avanzava , sui lati delle strade ai balconi e alle finestre le signore ,avevano steso la coperta più bella, quella più preziosa rigorosamente ricamata a mano , quella che tenevano custodita nell’ultimo cassetto del comò insieme alla tovaglia da tavola delle grandi occasioni, entrambe tramandate da madre in figlia.
Esse stavano lì affacciate con le braccia poggiate all’inferriata in atteggiamento fiero perché l’occasione permetteva loro di poter mostrare quella meravigliosa biancheria. E la coperta esposta assumeva una doppia valenza sacra perché dedicata al Corpus Domini e perché era un oggetto sacro di famiglia che si lasciava in eredità.
E poi, al passaggio del corteo sacro, quando arrivava a tiro il baldacchino, le signore si sporgevano e gettavano a piene mani hjuri i spartu e petali di rose, e giù per le strade le donne del popolo cantavano inni eucaristici e li alternavano a preghiere.
L’angiuli di lu cielu fanu festa
ca festa fa lu putendi Diu
…
Inni e canti Inni e canti sciogliamo o fedeli
al divino eucaristico re,
egli ascoso nei mistici veli
cibo all’alma fedele si die…
E poi a tratti intercalavano :
Si’ lavudatu ogni mumendu
Gesù miu ‘ndrù sacramendu
e ppè sembri si’ lavudatu Gesù miu Sacramendatu.
E mentre il suono a gloria delle campane creava un’atmosfera di solennità e di festa la gente cantava e pregava con fede sincera perché in essa ritrovava la sorgente della propria esistenza.