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Giangurgolo e Peppe Nappa: le maschere calabresi

Last updated on 22 Dicembre 2017

Alcuni utenti ci hanno scritto facendoci notare come nell’ebook pubblicato da CiR dal titolo Storia, cultura e tradizione delle maschere italiane non siano presenti maschere calabresi. Beh, a dire il vero, avevamo già in programma di pubblicare un articolo a parte descrivendo Giangurgolo, ad esempio, la maschera calabrese più nota. In ogni caso, visete le richieste, abbiamo deciso, non solo di pubblicare il pezzo che potete leggere sotto, ma anche di ampliare il libro digitale con altri contenuti. Vi ricordiamo che per scaricarlo, vi basta cliccare qui. Buona lettura e buon Carnevale.

Giangurgolo
GiangurgoloLa maschera carnevalesca calabrese per eccellenza è quella di “Giangurgolo”, che deriverebbe, anch’essa, dalla Commedia dell’arte, nella quale riscosse grande successo fino al XVIII secolo.  Il primo a svolgere ricerche serie su di esso, fu il giornalista e scrittore calabrese Vincenzo Pitaro, che in un suo articolo del 1985 – sottolinea – come a suo dire il nome “sembrerebbe voglia dire Gianni-gola-piena” o “Gianni-ingordo”.  Termini che sottolineano i suoi elementi caratteristici: la sua continua e perpetua fame e la sua “vanagloriosità”. Ottavio sacco, che ne era il suo più grande interprete, la porto sui palcoscenici di tutto il mondo. Si racconta che, il 24 giugno 1596, nel convento di Santa Maria della stella di Catanzaro, fu abbandonato un bambino – quello che poi diventerà Giangurolo. Fu chiamato Giovanni, come il Santo che figurava sul calendario, il giorno del suo ritrovamento. Passò lo sua infanzia presso il Convento dei Cappuccini del Monte dei Morti, dove fu educato da un frate. Il quale gli trasmise anche la passione per la caccia. Proprio nei boschi, durante una battuta di caccia salvò uno spagnolo, che fu aggredito e ferito da alcuni briganti. Fu proprio Giovanni a prendersene cura, ma malgrado tutto, lo spagnolo morì. L’eredità ovviamente, andò tutta a Giovanni, che ricette da lui anche una lettera. Nel documento vi era scritto il modo per scacciare dalla Calabria, quelli che furono i nostri oppressori: gli spagnoli. Da quel momento giovanni, assunse il nome di Alonso Pedro Juan Gurgolos (Giangurgolo). Organizzò allora un carrozzone da tetro, nel quale proporre spettacoli satirici – politici, per incitare il popolo alla rivolta, ma ciò gli procurò solo una condanna a morte. La scoperta delle sue nobili origini gli salvò la vita. Ma nonostante ciò, si rifugiò in Spagna per poi ritornare nella sua terra d’origine. Proprio in quel periodo, la Calabria era contaminata dalla peste, che colpì anche un suo amico, Marco e che poi, la trasmise anche a lui. Ciò ne causò la morte.
Secondo un’altra ipotesi, Giangurgolo è una maschera nata a Napoli e successivamente importata nella città di Reggio Calabria, per mettere in ridicolo i dominatori spagnoli o i ricchi signorotti che in quei secoli imperavano sui nostri territori. La sua caratteristica fondamentale la spacconeria. Giangurgolo appare come il tipico signorotto ricco, gradasso, che esige rispetto senza però darne in cambio. Solo davanti a chi è più potente di lui è quasi sottomesso. Ruffiano e adulatore con chi può rappresentare una minaccia. Con le donne riesce però a mettere da parte la sua goffaggine e l’essere rozzo, mostrando una cultura inesistente, venendo sempre deriso delle donne. Anche per via del suo enorme nasone sempre rosso. Arrogante, bravo solo a fare chiacchiere e niente fatti, vanitoso. E’ sempre alla ricerca della rispettabilità, ma al momento di sguainare la spada fugge a gambe levate. Vuole sembrare coraggioso, ma per paura diventa un bugiardo di prima categoria. La sua fame è costante, infatti egli dice che, il suo sconfinato appetito a stento è placato da: “un carretto di maccheroni, una cesta di pane e due botti di vino”. È amante dei “Maccarruni i casa alla calabrisi”. E per un piatto di pasta è capace anche di rubare per poi giurare di non aver visto né sentito nulla, negando ogni responsabilità. «Quando io cammino — dice Giangurgolo — la terra trema sotto i miei piedi. E io cammino sempre ….». Ma guarda caso, quando un bambino gli fa uno scherzo, fugge come il vento dalla paura! Con le persone umili è smargiasso, ordina salame e lasagne in gran quantità, ma si rifiuta di pagare al momento del conto. «A  rovesciar Giangurgolo per i piedi, dalle sue tasche non uscirebbe un grano (cioè quattro centesimi), a questa maschera si può dunque ricondurre l’espressione scherzosa, per la quale arricchire si dice “far grano”». Giangurgolo godette di grande successo sulle scene della Commedia dell’arte, al pari di molte altre maschere sue colleghe, come: Pulcinella, Arlecchino o Brighella, ma poi fu messo nel dimenticatoio, anche nella sua terra d’origine!
Indossa un cappello alto e a forma di cono, un corpetto attillato con un collettone largo e arricciato, i pantaloni a sbuffo e a strisce, con i colori simbolo degli aragonesi (il giallo e il rosso), delle calze bianche o anch’esse a strisce e ha un lungo spadone che dalla cintura gli arriva fino a sopra i fianchi, nonché una lunga piuma di pavone, simbolo del suo vanto. Vanto che, lo accomuna alla categoria detta dei “Capitani”, quali: Capitan Spaventa, Capitan Matamoros, Capitan Rodomonte e Capitan Cardone e Capitan Spezza Ferro. Non sono delle vere e proprie maschere ma piuttosto dei “Caratteri”, i cui tratti distintivi sono appunto il vanto, la spacconeria e l’essere paurosi.
Giangurgolo deriverebbe anche degli antenati delle maschere dalla Commedia della arte, i così detti “Zanni” (cioè servi). Discendenti dalla bergamasca. Zanni con la sua lunga veste bianca, richiamerebbe le anime dei morti, che ritornano benevole sulla terra, in primavera. Esso diede origine a una grande quantità di maschere con il suffisso Zan (Zan Ganassa, Zan Panza de pegora, Zan Arlecchino e anche Zan Gurgolo). Da cui ebbe origine, l’odierno Giangurgolo o l’odierno Arlecchino, (che per chi non lo sapesse, simboleggia con la sua veste colorata, l’eterno rifiorire della primavera).

Peppe Nappa
Peppe NappaPeppe Nappa o Beppe Nappa è una maschera nata in Calabria ma che oramai è stata assimilata e assorbita come siciliana a tutti gli effetti. Essa è la maschera principale del Carnevale di Sciacca, dove in quei giorni gli vengono addirittura consegnate le chiavi della città. Beppe così ne diventa il Sindaco! Il suo nome deriverebbe da : “Peppe” che nel dialetto siciliano, altro non è che il diminutivo di “Giuseppe” e “Nappa”, che significa “toppa dei calzoni” ad indicare il suo stato di povertà. Povertà che nelle maschere si esprime con l’uso delle toppe, che in questo caso sono solo immaginarie. Cosicché “Giuseppe toppa nei calzoni” sta ad indicare un “uomo da nulla” o nulla facente, scansa fatiche. Questa maschera è tra le più antiche della Commedia dell’Arte. Anch’egli discende da Zanni. Impersonifica infatti il sevo sciocco e scroccone. Egli viene regolarmente scoperto e picchiato per ogni guaio che combina dal suo padrone, che generalmente è un ricco mercante, un giovane innamorato o un Barone (U’ Baruni in dialetto siciliano). Ama mangiare, ma anche se pigro per eccellenza – infatti, dorme di continuo – gironzola sempre in cucina (che è poi il suo ambiente preferito), anche solo per “cibarsi” dei profumi, delle deliziose pietanze in preparazione. E’ un goloso e affamato perenne, ma anche un po’ malandrino. Quella sua  pigrizia che lo fa passare dal sonno alla veglia, continuamente, non gli impedisce di essere all’improvviso agile nei movimenti, come un ballerino. Acrobatico, quasi snodato, anche nelle membra! E’ parente del Pierrot francese, ma da esso si differenzia leggermente nelle vesti e non ha trucco sul viso. Concetta Greco Lanza, in una introduzione del libro “Farse di Peppe Nappa” lo descrive così: “È pigro e spesso compare in scena sbadigliando e di contro sa essere agilissimo e accenna a caso, passi di danza. Non porta maschera, non s’infarina, ha il volto raso e sottili sopracciglia; ha molti punti di contatto con la maschera francese di Pierrot, ma ne differisce nell’abito; infatti indossa una corta giacchettina azzurra con grandi bottoni, calzoni lunghi fino alla caviglia, ha sul capo un cappello dalle falde rialzate sopra una stretta calotta piana, scarpe bianche con fibbie, maniche lunghissime, fascia al collo“. Il Fannullone e delicato Beppe è lontano parente anche di Bertoldo. Ha delle maniche lunghissime. Secondo una versione, la maschera vorrebbe nascondere una mano monca, tagliata come punizione, perché un po’ ladruncolo; l’ altra variante vuole che la casacca fosse storta e cucita male, quindi pendente da un lato.

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